di Salvo Barbagallo
Dovremmo essere abituati alle ipocrisie e alle bugie “governative”, ma per quanto possiamo affermare che “tutto è nella norma”, continuiamo a stupirci e non riusciamo egualmente a mandare le falsità che ci vengono ammannite.
Acconsentendo alla richiesta degli USA, l’Italia sta accogliendo “per motivi umanitari” Fayiz Ahmad Yahia Suleiman, cittadino yemenita detenuto nel campo di Guantanamo, e Washington “ringrazia”. Il “carcere” di Guantanamo, posto nella base statunitense di Cuba, “nacque” ai primi anni del Duemila con lo scopo di tenervi rinchiusi i Talebani catturati, accusati di fare parte di al Qaeda. Fayiz Ahmad Yahia Suleiman, 41 anni, nato in Arabia Saudita, era detenuto nella prigione di Stato americana da più di 14 anni, è stato considerato dalle autorità statunitensi “trasferibile” in un altro Paese ma che non fosse quello d’origine. Dove sarà collocato in Italia l’uomo che in precedenza era stato ritenuto un “terrorista” la Farnesina non lo rende noto. Paul Lewis, conclude un suo articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica, riferendosi alle dichiarazioni rilasciate dall’inviato speciale di Obama per la chiusura di Guantanamo, afferma: Secondo le statistiche della stessa amministrazione Usa, il 13% dei detenuti liberati dopo l’insediamento di Obama hanno ripreso le armi. Tra questi 14 hanno partecipato ad attacchi in cui sono morti americani.
Dovrebbe inorgoglire il “senso” umanitario del Governo italiano, che è dimostrazione di grande partecipazione alle sofferenze altrui, se non fosse che “partecipando” solo o principalmente alle sofferenze “altrui” il Governo dimentica le sofferenze di tanti e tanti italiani che non sanno più a che Santo votarsi per alleviare i propri “dolori”.
Luca Romano sul quotidiano Il Giornale scrive: “Finora in Italia l’immigrazione è stata governata tutto sommato bene, ma in termini di numeri stiamo arrivando al superamento della soglia che è governabile. Se non lo vediamo per tempo, questo problema rischia di travolgerci”. A dirlo non è Matteo Salvini, bensì l’ex sindaco di Torino, Piero Fassino, durante il suo intervento alla direzione regionale piemontese. “Da sindaco e in campagna elettorale – ha spiegato Fassino – non mi sono risparmiato e ho incontrato moltissime persone. L’immigrazione è il tema che sempre e ovunque mi sono trovato davanti. È il più sentito nelle aree a maggiore sofferenza sociale, dove gli immigrati sono visti in competizione per la casa, il lavoro, il welfare. Si tratta delle stesse aree nelle quali abbiamo avuto i risultati peggiori”. E ancora: “Per esempio nell’assegnazione delle case popolari, il criterio basato sulla composizione dei nuclei familiari premia sempre più spesso le famiglie immigrate, che fanno più figli. Bisogna domandarsi fino a quando la graduatoria unica è sostenibile. Questo per non alimentare conflitti tra chi quel diritto lo esige”.
Anche in questo caso è il “senso umanitario” che prevale, ma sempre a discapito degli italiani meno abbienti.
Il 23 maggio dello scorso anno scriveva Daniele Martini su Il Fatto Quotidiano: Dal profondo Nord della Val Trompia, terra di fabbriche di armi e di leghisti, non si è mai interrotto il flusso di pistole, fucili e proiettili verso quelle parti dell’Africa che ribollono di tensioni e conflitti e da cui fuggono a decine di migliaia i disperati che cercano di scampare alle carneficine. Anche l’anno passato, con la Libia dilaniata dalle faide tra clan e senza più un potere centrale riconoscibile, e il resto del Maghreb, dall’Algeria alla Tunisia all’Egitto, sempre sul punto di esplodere, sono andati assai bene gli affari delle imprese italiane, Beretta in testa. Nel complesso sono ammontate a circa 30 milioni di euro le esportazioni di pistole, fucili, carabine e simili verso quelle regioni. Insieme al Nord Africa anche il Medio Oriente, dall’Arabia Saudita alla Siria, compresi Iran e Iraq sotto l’attacco degli assassini del Califfato dell’Isis, ha ricevuto dall’Italia un buon numero di pistole e fucili (…). La produzione e l’esportazione di armi ai quattro angoli del pianeta contribuisce alla ricchezza della Val Trompia (provincia di Brescia) e garantisce il lavoro a migliaia di operai di quella zona. Il rovescio della medaglia, però, è che quei prodotti vengono venduti con assoluta disinvoltura (anche se ovviamente nel sostanziale rispetto delle leggi e dei trattati internazionali) pure a paesi dove infuriano le guerre e a quelli segnalati da diverse organizzazioni internazionali come Amnesty International, Human Right e Escola de Pau, per le reiterate violazioni dei diritti umani e per situazioni di tensione o di conflitto armato.
E questi dati si riferiscono alle cosiddette armi leggere, in quanto la produzione di altri comparti di natura bellica (dai carri armati, ai superjet, agli elicotteri) vanta commesse ancora più alte, anche se i “destinatari/acquirenti”, gira e rigira, sono sempre gli stessi.
Dunque, “senso umanitario” made in Italy? Ma a chi vogliono prendere in giro?